Se entrate al Parque Central, stadio del Nacional Montevideo, ancora oggi potrete leggere uno striscione che dice così: “Por la sangre de Abdon”.
Quel Abdon è Abdon Porte, centrocampista uruguaiano classe 1880 e la sua storia inizia quando inizia l’era del calcio. Siamo in Uruguay, dove il football viene portato alla fine dell’800 dagli imprenditori inglesi. El Indio inizia a giocare a pallone sin da piccolo, fino a diventare uno dei migliori giocatori della nazione.
Gioca da centrocampista prima nel Colòn, poi nel Libertad, infine nel Nacional.
Diventa una colonna della squadra, titolare inamovibile, capitano e condottiero. Vince il campionato nel 1912 e poi per tre anni di fila dal 1915 al 1917. Sono gli anni più felici e più belli della sua vita. Porte è il simbolo della squadra. La sua bandiera in campo e fuori.
Chi pensa al Nacional Montevideo deve per forza pensare ad Abdon Porte.
El Indio lo chiamavano così per le linee del suo volto, dure, selvagge, grezze. E quel ruolo di capo tribù lo sente nella pelle. Colleziona 270 presenze con la maglia dei Tricolores. Tutti lo amano. Tutti lo acclamano.
Nel 1917 arriva la svolta. Vince il Campionato Sudamericano con la maglia della nazionale senza mai scendere in campo. Inizia ad andare in panchina anche con il Nacional Montevideo, scalzato dal giovane Alfredo Zibechi.
Erano anni in cui essere riserva voleva dire veramente essere ai margini. La squadra titolare era intoccabile, gli 11 giocano sempre, a meno di infortuni o squalifiche. Il turn over doveva ancora essere inventato.
Abdon Porte su quella panchina proprio non riesce a starci. Il suo fisico inizia a cedere all’età e quando entra in campo non riesce più ad incidere come una volta.
Iniziano le critiche, dagli stessi tifosi che lo avevano acclamato.
Il 4 marzo 1918 Porte gioca la sua ultima partita con il Nacional. 90 minuti in campo, vittoria per 3 a 1. Per festeggiare, come da tradizione, la squadra si raduna per una cena. Porte sembra felice come quando vinse per la prima volta il campionato nel 1912.
A fine serata però decide di non andare a casa.
Va al Parque Central, lo stadio del Nacional. Casa sua.
Scende sul prato, si mette nel cerchio di centrocampo e si spara un colpo al cuore, alle due di notte.
Lo trova il custode dello stadio. In mano aveva due biglietti, uno per la madre, l’altro per il presidente del club. Diceva così: “Nacional anche quando sarò polvere. E anche in polvere sempre amante. Non dimenticare mai un istante quanto io ti abbia amato. Addio per sempre“.
p