Brasile

I cent’anni di solitudine di Boacir Barbosa

Boacir Barbosa

I portieri quando esultano, esultano da soli. Nella propria metà campo, forse solo qualche difensore festeggia con loro.

I portieri sono dei solitari. Lo dice anche il loro numero. Non il 10, non il 9. L’1. Il numero più solitario di tutti.

Boacir Barbosa, in questo senso, è stato il più grande numero 1 della storia.

Giocava a cavallo degli anni 40 e 50. Con il Vasco da Gama avevo vinto tutto, era considerato il miglior portiere in circolazione. Ma aveva un difetto: era negro. Era stato anche il primo estremo difensore della nazionale brasialiana a non essere un bianco.

Il culmine della sua carriera sarebbero stati i campionati del mondo del 1950. Si giocava in Brasile e la partita decisiva era di scena a Rio. Tutto il paese era pronto a festeggiare. In quei mondiali non ci fu una finale vera e propria: a decidere il campione del mondo sarebbe stato un girone. Alla nazionale di Barbosa, di Jair, di Zizinho basta un solo punto contro il modesto Uruguay.

La vigilia di quella partita è un ricco antipasto della scontatissima vittoria del Brasile.

I presenti erano millenoventonovantanovemilaottocentocinquantaquattro. 199 854. Un numero impressionante.

Chiaramente tutti brasiliani, o quasi. Gli uruguagi presenti erano appena 40.

C’era la banda musicale, pronta a suonare l’inno del Brasile, un campione tanto scontato che lo spartito per l’inno dell’Uruguay non era nemmeno stato fornito.

C’era il quotidiano Diàrio do Rio che titolava “A Copa serà nossa”.

C’era il giornale O Mundo che in prima pagina, sotto la foto della formazione del Brasile, scriveva: “Estes são os campeões do mundo”.

C’erano fuori dallo stadio centinaia di bancarelle che prima della partita avevano venduto migliaia di magliette con la scritta “Brasil Campeão 1950”.

In tutta questa baraonda di bandiere, di grida, di urla, di tifosi festeggianti c’erano anche loro due: Alcides Ghiggia e Boacir Barbosa. Protagonisti, per sfortuna e per fortuna, di quella partita.

Gli ingredienti della terribile ricetta sono tutti pronti. Il resto è storia nota.

Friaça porta in vantaggio i padroni di casa. Schiaffino al 66esimo li raggiunge. Ghiggia ad 11 minuti dalla fine li distrugge.

Il Gol di Ghiggia per il 2-1

Per descrivere quello che successe quel giorno, non esisteva una parola. Si dovette inventare. Così il 16 luglio del 1950, quella catastrofe storica oltre che sportiva, passa alla storia con il nome di Maracanazo.

A decine sugli spalti dello stadio furono colti da infarto. A centinaia nel paese si suicidarono.

In campo invece, quando un incredulo Jules Rimet diede nelle mani di Varela la coppa, senza discorso ufficiale, senza complimenti, senza inno, c’era un uomo più solo di tutti.

Quell’uomo era Barbosa. Da portiere era abitutato a stare in disparte, ma in quel momento era la persona più sola al mondo. Cent’anni di solitudine gli cascarono sulle spalle. Solo, perso nel silenzio di uno stadio strapieno. “Il silenzio più bello del mondo” e anche il più terribile.

Dopo i 3 giorni di lutto nazionale, il Brasile provò a rialzarsi da quella che i giornali chiamarono “La nostra Hiroshima”. Gli stessi giornali che titolavano “Il Brasile sarà campione”.

Per rialzarsi la prima cosa da fare era trovare un capro espiatorio. L’identikit perfetto era proprio quello di Barbosa, colpevole di aver lasciato passare il tiro di Ghiggia.

Da quel 16 luglio, il portiere del Vasco da Gama divenne il responsabile della disfatta carioca. Cadde in depressione, visse ai margini della vita sociale. “La pena più alta in Brasile è 30 anni, la mia prigionia ne è durata 50”.

Solo una persona potè alleviare la sua solitudine: la moglie Clotilde. Sulla sua spalla Barbosa piangeva anche a distanza di quaranta anni da quella disperata partita, dicendo: “Non è solo colpa mia, eravamo in undici”.

Clotilde morì nel 1997. Barbosa la seguì tre anni dopo.

La mattina del 16 luglio 1950 era il portiere più forte del mondo. La sera era “l’uomo che aveva fatto piangere tutto il Brasile”.

No me pongan en lo oscuro
A morir como un traidor
No me pongan en lo oscuro
A morir como un traidor
Yo soy bueno y como bueno
Moriré de cara al sol